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COP 29 Le carte in regola dell'Europa
Dall'11 di questo mese sino al 22 è programmato lo svolgimento della 29° Conferenza delle Parti firmatarie della Convenzione ONU sul Cambiamento climatico (United Nations Framework on Climate Change Convention - UNFCCC) e l'UE si presenta al confronto con le carte in regola e preparata, avendo già definito ufficialmente dal 15 ottobre la propria posizione. Dall'11 di questo mese sino al 22 è programmato lo svolgimento della 29° Conferenza delle Parti firmatarie della Convenzione ONU sul Cambiamento climatico (United Nations Framework on Climate Change Convention - UNFCCC) e l'UE si presenta al confronto con le carte in regola e preparata, avendo già definito ufficialmente dal 15 ottobre la propria posizione.
In primis essendosi impegnata a continuare a mobilitare collettivamente 100 G$/anno fino al 2025 e a fissare un NCQG (New Collective Quantified Goal on climate finance) più "ambizioso" per il periodo successivo.
Inoltre a bilanciare i finanziamenti tra mitigazione, adattamento, perdite e danni, con obiettivi intermedi rigorosi che tengano conto della richiesta dei Paesi in via di Sviluppo di destinare il 50% dei finanziamenti al secondo, stante la devastante pressione dei cambiamenti climatici. Infine a sottolineare la necessità di propendere verso le sovvenzioni, che devono sostituire i prestiti per spezzare il ciclo del debito e consentire la piena espressione in tali Paesi del loro apporto potenziale alla sostenibilità.
Su tutto questo grava comunque l'imperativo di incrementare lo sforzo per non superare al 2100 il limite di 2 °C, possibilmente 1,5 °C in più sulla temperatura media preindustriale e di accelerare la riduzione del ricorso alle energie fossili.
Utilizzando a tal fine gli strumenti di mercato più efficienti, come l'estensione nei settori economici del sistema di scambio dei permessi di emissione (Emissions Trading System - ETS) e l'applicazione di un controvalore per quelli non acquisiti da produttori esteri che immettono i loro manufatti nell'UE (Carbon Border Adjustment Mechanism - CBAM), di cui si dice più avanti.
Al proposito è del tutto evidente per l'UE l'esigenza e il vantaggio di una transizione energetica equa ed equilibrata verso un nuovo modello economico di sviluppo che sia verde, considerando che il costo dell'inazione supera di gran lunga quello di percorsi di transizione ordinati e giusti.
Ciò in quanto le opportunità e i benefici reciproci che offre un'azione ambiziosa in difesa del clima sono molto elevati.
Non solo per il pianeta e per l'economia globale, ma anche per le persone, visto che essa migliora gli standard di vita, salute, sicurezza, sostenibilità idrica, alimentare, energetica.
Questo sia in termini di una maggiore accessibilità dei prezzi, che promuove l'inclusione sociale, sia investendo in ricerca, innovazione, istruzione, competenze e posti di lavoro nelle materie ambientali, che significano altrettanto.
Avanzamenti da cui tutte le società possono trarre profitto, così incrociando la forte domanda che proviene dalla collettività. In particolare dai giovani, che chiedono interventi più ambiziosi in difesa del clima e di salvaguardare il diritto e il principio dell'equità infragenerazionale e intergenerazionale.
Allo scopo, traguardando una transizione ecologica lungimirante che preservi efficienza e competitività, che sono in ogni caso di interesse comune.
Tuttavia affinché ciò avvenga, presto e bene, serve un contesto politico stabile e sicuro che consenta agli stakeholders, amministratori pubblici, categorie produttive, imprese, investitori, e a tutte le persone in generale di guardare con certezza al domani e di contare su un futuro prevedibile.
A tal fine è necessario il loro coinvolgimento consapevole, di qui il ruolo fondamentale della conoscenza, della partecipazione e quello dell'informazione che tutti i media per quanto di competenza devono svolgere al meglio delle loro possibilità.
LA LEGGE SUL CLIMA E IL CLEAN INDUSTRIAL DEAL
Sul piano del contrasto del cambiamento climatico l'UE fornirà indubbiamente alle discussioni della COP un esempio di grande responsabilità con il suo programma di azione molto rigoroso e avanzato che assicura il raggiungimento di una quota di energia pulita oltre il 42,5%.
Questo quasi subito, già al termine del decennio, con il pacchetto di provvedimenti Fit for 55, attuativo del Green Deal. Il patto
verde che ha fissato il raggiungimento della neutralità climatica a metà secolo, sancito dal Parlamento il 15 gennaio 2020. Un impegno integrato poi con l'obiettivo intermedio di raggiungere una riduzione delle emissioni del 55% al 2030 sui livelli del 1990, reso obbligatorio dal Regolamento 2021/1119 del 30 giugno 2021, detto legge europea sul clima (1 nel PDF).
L'insieme complesso di regolamenti e direttive che compone il pacchetto è ben intrecciato e incide, accelerandoli, su tutti gli aspetti della transizione energetica, oltre ad essere vigente ormai da più di un anno.
L'UE partecipa pertanto ai lavori avendo alle spalle un quadro legislativo giuridicamente vincolante che interessa tutti i settori dell'economia e mostra ai partner internazionali e agli stakeholder che la via per difendere il clima a beneficio di tutti è percorribile.
Un'altra delle carte in regola che l'UE potrà mettere sul tavolo della Conferenza è quella del "Clean Industrial Deal", annunciato a fine luglio dalla Presidente della Commissione Europea (CE), Ursula von der Leyen, nel candidarsi al rinnovo del mandato (2 nel PDF).
Un piano teso a coniugare lo sviluppo industriale del Vecchio Continente con le azioni di contrasto al cambiamento climatico, estendendo la priorità di mitigarne gli effetti, che rimane indiscutibile e imprescindibile, a quella più ampia di accrescere la sostenibilità nei suoi molteplici aspetti e, nello stesso tempo, la competitività.
Ciò, ottimizzando le sinergie tra decarbonizzazione, progresso scientifico e tecnico, disponibilità di risorse, riciclo e regolamentazione. Facilitando allo scopo investimenti strategici in ricerche, tecnologie e impianti per produrre know-how e manufatti innovativi, realizzare e commercializzare sistemi di conversione e consumo a basse emissioni, sempre più efficienti, che sono di primario interesse per tutto il pianeta. Dunque, con interventi che innalzino gli standard ambientali e non li indeboliscano per subordinarli a convenienze economiche che detta il mercato e assecondano altri partner.
Come mostra il proposito espresso di introdurre nella legge sul clima l'obiettivo di oltrepassare il predetto target di riduzione del 55% delle emissioni di CO2eq dopo il 2030 e di raggiungere il 90% al 2040.
Cui si associa l'impegno di esercitare un pieno controllo sull'intera catena di valore della generazione e uso delle energie pulite, dall'estrazione delle materie prime, alla produzione, alla distribuzione e allo smaltimento.
Quindi, stando agli annunci, l'intenzione è quella di promuovere un modello di crescita responsabile che difenda il clima e l'ambiente, con un approccio che traguardi il rispetto del diritto delle persone, ora e in futuro, di vivere in un contesto sicuro, stabile, equo e sostenibile, che sia di esempio anche per gli altri partner.
Un ambiente dove gli operatori economici possano intraprendere e investire in un clima di fiducia e prevedibilità, nel quale la transizione energetica non sia un'occasione e uno strumento per prevalere e modificare impropriamente gli equilibri.
Un obiettivo che appare utopico nell'attuale situazione, ma che è di interesse di tutti, non solo dell'Europa, e che si può avvicinare con una strategia di crescita che sia ad un tempo competitiva e sostenibile.
Con un piano i cui aspetti di fondo si possono individuare nell'analisi condotta nel capitolo Energia del Rapporto di Mario Draghi alla CE "The future of European competitiveness" del 9 settembre scorso. In esso il Presidente dice che l'Unione dovrebbe mobilitare 450 G?/a di investimenti nei settori strategici della transizione.
Fondi che sarebbero ampiamente risarciti dalla crescita economica che ne deriverebbe nei prossimi anni e che permetterebbero all'Europa di concentrare le risorse necessarie per svilupparsi più sostenibilmente e competere, se non alla pari, per lo meno in linea con i giganteschi stanziamenti della Cina, con i suoi piani quinquennali di cui si è parlato nel numero scorso quanto alle filiere del nucleare e dell'idrogeno (3 nel PDF), e con la dimensione di quelli stabiliti dall'Inflation Reduction Act degli USA.
IL DIVARIO DI COMPETITIVITÀ SECONDO DRAGHI
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In primis essendosi impegnata a continuare a mobilitare collettivamente 100 G$/anno fino al 2025 e a fissare un NCQG (New Collective Quantified Goal on climate finance) più "ambizioso" per il periodo successivo.
Inoltre a bilanciare i finanziamenti tra mitigazione, adattamento, perdite e danni, con obiettivi intermedi rigorosi che tengano conto della richiesta dei Paesi in via di Sviluppo di destinare il 50% dei finanziamenti al secondo, stante la devastante pressione dei cambiamenti climatici. Infine a sottolineare la necessità di propendere verso le sovvenzioni, che devono sostituire i prestiti per spezzare il ciclo del debito e consentire la piena espressione in tali Paesi del loro apporto potenziale alla sostenibilità.
Su tutto questo grava comunque l'imperativo di incrementare lo sforzo per non superare al 2100 il limite di 2 °C, possibilmente 1,5 °C in più sulla temperatura media preindustriale e di accelerare la riduzione del ricorso alle energie fossili.
Utilizzando a tal fine gli strumenti di mercato più efficienti, come l'estensione nei settori economici del sistema di scambio dei permessi di emissione (Emissions Trading System - ETS) e l'applicazione di un controvalore per quelli non acquisiti da produttori esteri che immettono i loro manufatti nell'UE (Carbon Border Adjustment Mechanism - CBAM), di cui si dice più avanti.
Al proposito è del tutto evidente per l'UE l'esigenza e il vantaggio di una transizione energetica equa ed equilibrata verso un nuovo modello economico di sviluppo che sia verde, considerando che il costo dell'inazione supera di gran lunga quello di percorsi di transizione ordinati e giusti.
Ciò in quanto le opportunità e i benefici reciproci che offre un'azione ambiziosa in difesa del clima sono molto elevati.
Non solo per il pianeta e per l'economia globale, ma anche per le persone, visto che essa migliora gli standard di vita, salute, sicurezza, sostenibilità idrica, alimentare, energetica.
Questo sia in termini di una maggiore accessibilità dei prezzi, che promuove l'inclusione sociale, sia investendo in ricerca, innovazione, istruzione, competenze e posti di lavoro nelle materie ambientali, che significano altrettanto.
Avanzamenti da cui tutte le società possono trarre profitto, così incrociando la forte domanda che proviene dalla collettività. In particolare dai giovani, che chiedono interventi più ambiziosi in difesa del clima e di salvaguardare il diritto e il principio dell'equità infragenerazionale e intergenerazionale.
Allo scopo, traguardando una transizione ecologica lungimirante che preservi efficienza e competitività, che sono in ogni caso di interesse comune.
Tuttavia affinché ciò avvenga, presto e bene, serve un contesto politico stabile e sicuro che consenta agli stakeholders, amministratori pubblici, categorie produttive, imprese, investitori, e a tutte le persone in generale di guardare con certezza al domani e di contare su un futuro prevedibile.
A tal fine è necessario il loro coinvolgimento consapevole, di qui il ruolo fondamentale della conoscenza, della partecipazione e quello dell'informazione che tutti i media per quanto di competenza devono svolgere al meglio delle loro possibilità.
LA LEGGE SUL CLIMA E IL CLEAN INDUSTRIAL DEAL
Sul piano del contrasto del cambiamento climatico l'UE fornirà indubbiamente alle discussioni della COP un esempio di grande responsabilità con il suo programma di azione molto rigoroso e avanzato che assicura il raggiungimento di una quota di energia pulita oltre il 42,5%.
Questo quasi subito, già al termine del decennio, con il pacchetto di provvedimenti Fit for 55, attuativo del Green Deal. Il patto
verde che ha fissato il raggiungimento della neutralità climatica a metà secolo, sancito dal Parlamento il 15 gennaio 2020. Un impegno integrato poi con l'obiettivo intermedio di raggiungere una riduzione delle emissioni del 55% al 2030 sui livelli del 1990, reso obbligatorio dal Regolamento 2021/1119 del 30 giugno 2021, detto legge europea sul clima (1 nel PDF).
L'insieme complesso di regolamenti e direttive che compone il pacchetto è ben intrecciato e incide, accelerandoli, su tutti gli aspetti della transizione energetica, oltre ad essere vigente ormai da più di un anno.
L'UE partecipa pertanto ai lavori avendo alle spalle un quadro legislativo giuridicamente vincolante che interessa tutti i settori dell'economia e mostra ai partner internazionali e agli stakeholder che la via per difendere il clima a beneficio di tutti è percorribile.
Un'altra delle carte in regola che l'UE potrà mettere sul tavolo della Conferenza è quella del "Clean Industrial Deal", annunciato a fine luglio dalla Presidente della Commissione Europea (CE), Ursula von der Leyen, nel candidarsi al rinnovo del mandato (2 nel PDF).
Un piano teso a coniugare lo sviluppo industriale del Vecchio Continente con le azioni di contrasto al cambiamento climatico, estendendo la priorità di mitigarne gli effetti, che rimane indiscutibile e imprescindibile, a quella più ampia di accrescere la sostenibilità nei suoi molteplici aspetti e, nello stesso tempo, la competitività.
Ciò, ottimizzando le sinergie tra decarbonizzazione, progresso scientifico e tecnico, disponibilità di risorse, riciclo e regolamentazione. Facilitando allo scopo investimenti strategici in ricerche, tecnologie e impianti per produrre know-how e manufatti innovativi, realizzare e commercializzare sistemi di conversione e consumo a basse emissioni, sempre più efficienti, che sono di primario interesse per tutto il pianeta. Dunque, con interventi che innalzino gli standard ambientali e non li indeboliscano per subordinarli a convenienze economiche che detta il mercato e assecondano altri partner.
Come mostra il proposito espresso di introdurre nella legge sul clima l'obiettivo di oltrepassare il predetto target di riduzione del 55% delle emissioni di CO2eq dopo il 2030 e di raggiungere il 90% al 2040.
Cui si associa l'impegno di esercitare un pieno controllo sull'intera catena di valore della generazione e uso delle energie pulite, dall'estrazione delle materie prime, alla produzione, alla distribuzione e allo smaltimento.
Quindi, stando agli annunci, l'intenzione è quella di promuovere un modello di crescita responsabile che difenda il clima e l'ambiente, con un approccio che traguardi il rispetto del diritto delle persone, ora e in futuro, di vivere in un contesto sicuro, stabile, equo e sostenibile, che sia di esempio anche per gli altri partner.
Un ambiente dove gli operatori economici possano intraprendere e investire in un clima di fiducia e prevedibilità, nel quale la transizione energetica non sia un'occasione e uno strumento per prevalere e modificare impropriamente gli equilibri.
Un obiettivo che appare utopico nell'attuale situazione, ma che è di interesse di tutti, non solo dell'Europa, e che si può avvicinare con una strategia di crescita che sia ad un tempo competitiva e sostenibile.
Con un piano i cui aspetti di fondo si possono individuare nell'analisi condotta nel capitolo Energia del Rapporto di Mario Draghi alla CE "The future of European competitiveness" del 9 settembre scorso. In esso il Presidente dice che l'Unione dovrebbe mobilitare 450 G?/a di investimenti nei settori strategici della transizione.
Fondi che sarebbero ampiamente risarciti dalla crescita economica che ne deriverebbe nei prossimi anni e che permetterebbero all'Europa di concentrare le risorse necessarie per svilupparsi più sostenibilmente e competere, se non alla pari, per lo meno in linea con i giganteschi stanziamenti della Cina, con i suoi piani quinquennali di cui si è parlato nel numero scorso quanto alle filiere del nucleare e dell'idrogeno (3 nel PDF), e con la dimensione di quelli stabiliti dall'Inflation Reduction Act degli USA.
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