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Transizione energetica e aree idonee: il caso emblematico della Sardegna

In questi mesi, le Regioni stanno lavorando sui disegni di legge relativi alla individuazione delle superfici e delle aree idonee per l'installazione di impianti a fonti rinnovabili, in attuazione del decreto del Ministero dell'Ambiente e della Sicurezza energetica del 21 giugno 2024 (il DM "aree idonee", entrato in vigore il 3 luglio 2024). A tre anni di distanza, il DM da finalmente attuazione all'articolo 20 del decreto legislativo 8 novembre 2021, n. 199, avente come obiettivo l'accelerazione del percorso di raggiungimento degli obiettivi di decarbonizzazione al 2030 e al 2050. Il DM 21 giugno 2024 ha ripartito fra le Regioni italiane gli 80 GW di nuova capacità da fonte rinnovabile (aggiuntiva rispetto a quella esistente al 31 dicembre 2020) da installare entro il 2030 e le Regioni hanno 180 giorni di tempo per emanare proprie normative sulle aree idonee.

Nel frattempo, in questi tre anni, le richieste di connessione alla rete di impianti rinnovabili (sebbene molte delle quali con pochissime speranze di pratica realizzazione) sono cresciute moltissimo, in particolare in alcune aree del paese.

Al 30 settembre 2024, sul portale Econnextion di Terna risultavano presentate richieste di connessione per circa 344 GW (di cui 152 GW relativi ad impianti solari, 108 GW di eolico on-shore e 84 GW di eolico off-shore), a fronte dei citati 80 GW previsti dal DM "aree idonee".

Di tali richieste, oltre 260 GW sono concentrate nella zona di mercato Sud (123 GW fra Molise, Puglia e Basilicata, a fronte di circa 10,5 GW previsti al 2030 dal DM "aree idonee"), Sicilia (84 GW, ancora contro 10,5 GW previsti al 2030) e Sardegna (54 GW, contro i 6,3 GW previsti al 2030).

In tale contesto, gli ampi margini di discrezionalità che il DM lascia alle Regioni per l'individuazione delle aree idonee, unitamente al crescente allarme che ha ingenerato nella popolazione la sproporzione fra le richieste di connessione e gli obiettivi fissati al 2030, potrebbe creare, soprattutto in alcune Regioni, un pericoloso cortocircuito, in grado di mettere seriamente in discussione il raggiungimento degli obiettivi nazionali di decarbonizzazione.

Appare emblematico a tale proposito il caso della Sardegna, Regione nella quale il dibattito sul tema dell'energia è risultato particolarmente acceso soprattutto nel corso dell'ultimo anno. L'elevatissimo numero di proposte di nuovi impianti eolici e fotovoltaici, il progetto di una nuova interconnessione con la rete nazionale da 1 GW (il Tyrrhenian Link) e l'assenza di chiare linee regionali di indirizzo hanno costituito il fertile terreno su cui è nato un diffuso movimento di contrasto alle rinnovabili, peraltro fortemente supportato dai principali organi di informazione locali.

Sono sorti così un gran numero di comitati locali "contro la speculazione energetica", il cui intenso e diffuso attivismo sui territori è sfociato nella presentazione ad agosto 2024 di una proposta di legge di iniziativa popolare volta a limitare fortemente l'estensione delle aree idonee ad ospitare nuovi impianti rinnovabili (in verità, molti comitati affermano che "in Sardegna
non esistono aree idonee").

A rimarcare il forte radicamento dei comitati sul territorio, basti evidenziare che tale proposta di legge è stata sottoscritta da oltre 200000 cittadini, un numero enorme, se rapportato all'intera popolazione della Sardegna, pari a poco più di 1,5 milioni di abitanti.

La risposta della politica a questa mobilitazione popolare è sfociata dapprima, a luglio 2024, in un provvedimento di moratoria che per 18 mesi decreta il divieto di realizzare in Sardegna nuovi impianti eolici e fotovoltaici e successivamente, a settembre 2024, nel disegno di legge di attuazione del DM "aree idonee".

Nella sua attuale formulazione il disegno di legge appare particolarmente restrittivo, con la quasi totalità del territorio regionale individuato come area non idonea, con fortissime limitazioni poste anche al revamping e al repowering di impianti eolici esistenti e con significative eccezioni solo per impianti di piccola taglia e per installazioni destinate all'autoconsumo di abitazioni, imprese, Comuni ed Enti Pubblici.

In una regione come la Sardegna che per estensione, bassa densità di popolazione, buona disponibilità di radiazione solare e ventosità avrebbe tutte le carte in regola per procedere spedita nella direzione della progressiva decarbonizzazione, la situazione appare paradossale.

Ancor più visto che la maggior parte di chi anima il dibattito sul tema dell'energia sostiene comunque la necessità di imboccare la strada della transizione energetica.

Giova a questo punto ricordare qualche dato di contesto, a partire dai circa 2,4 milioni di tep di fabbisogno energetico annuo della Sardegna e dall'80% circa di dipendenza dai combustibili fossili, non dissimile da quella nazionale e mondiale. Nonostante il dibattito verta quasi esclusivamente sull'energia elettrica, quest'ultima rappresenta appena il 28% dei consumi annui di energia, mentre i trasporti ne coprono il 38% e la produzione di calore per usi civili e industriali il 34%.

Nel settore elettrico, la produzione netta annua è di 12,6 TWh (a fronte di quasi 9 TWh di consumi interni e di un export che vale circa 3,5 TWh, oltre a 0,2 TWh assorbiti dai pompaggi) e deriva per il 73% da fonti fossili (carbone e residui della raffinazione del petrolio, essendo la Sardegna l'unica Regione priva di una rete di distribuzione del gas naturale) e solo per il 27% da rinnovabili.

La dipendenza dai combustibili fossili è totale nel settore dei trasporti e del 64% in quello della produzione di calore.

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La Termotecnica Novembre 2024
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